"Il
jazz allo stato puro non corrisponde né alla cultura né
al nostro linguaggio. Sono un ragazzo del dopoguerra, la generazione
degli amanti del jazz. Ho trovato nel jazz una bellissima scuola
di armonie e di ritmo, una scuola molto formativa. La musica nordamericana
è bellissima, ma non è una buona ragione per lasciarci
invadere dalla cultura anglosassone. Che qui, in Europa si scriva
del blues mi disturba. Per me il blues è intoccabile".
'Sotto le stelle del jazz' (1984), dunque, pur avendo dato il nome
a trasmissioni radiofoniche e festival jazz, non è un brano
jazz, ma un brano 'sul' jazz. Non un brano sui jazzisti, ma sugli
aspiranti jazzisti, o anche solo su coloro che, nell'Italia provinciale
della metà del secolo, sognavano un'America lontana e quasi
indecifrabile, vagheggiata fin dall'infanzia. "Mussolini aveva
proibito la diffusione della musica americana e del jazz. Però
era difficile impedire tutto. Così i grandi classici potevano
circolare a patto… di essere eseguiti da orchestre italiane
e con titoli italiani: ecco perché 'Saint Louis Blues' diventò
'Tristezze di San Luigi!' I miei, che erano molto giovani e dunque
curiosi, appassionati di musica e ghiotti di novità, in barba
alla polizia riuscivano a procurarsi dischi o spartiti di musica
americana; la decifravano e poi la suonavano in salotto. In questo
modo, sono stato nutrito di jazz e di America fin dall'infanzia".
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