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“Quando uscì 'Azzurro' ci fu una levata di scudi perché andava controcorrente rispetto ai ritmi dell’epoca”, sostiene Paolo Conte. “Sogghignarono in molti, ma io me ne infischiavo perché avevo applicato a quella canzone degli echi poetici che fanno parte della nostra sensibilità. Fui capito dal pubblico: ‘Azzurro’ ebbe un grande successo. Tutte le mie canzoni nascono con questo spirito: scrivere una musica fuori moda, un po’ segreta, che vada a cercare in fondo a noi le risonanze della nostra identità (…)

“‘Azzurro’, una delle mie prime canzoni, era piuttosto stramba:
una marcetta. Nessuno scriveva marcette.
Io lo feci per ragioni poetiche.
Secondo me la marcetta è radicata nel profondo del
nostro cuore. Al di là delle mode”.
In effetti, qualche mese prima Paolo Conte aveva
appena ottenuto il suo primo successo con
un altro genere demodé: il valzer de “La coppia più bella del mondo” – interpretata sempre da Adriano Celentano,
uno dei suoi cantanti preferiti.

“Le possibilità che avevo come autore erano ridotte,
perché non volevo scrivere né una cosa qualsiasi né per una persona qualsiasi, ero molto filoamericano.
I cantanti italiani non mi piacevano, con quelle voci sdolcinate, artificiose. In generale, non amo quei cantanti che non cantano con la loro voce, con la voce che usano nella vita. Quelli che cantano così sono rari e sono questi che mi interessano. Allora c’erano Celentano, Patty Pravo, Caterina Caselli, Ornella Vanoni, Jannacci. Ancora oggi essi mi interessano per la loro capacità di cantare come esseri umani, con una pronuncia credibile dell’italiano. La lingua italiana, tanto bella, tanto ricca, tanto poetica, è anche tanto difficile dal punto di vista ritmico. Il pregio di Celentano è quello di essere capace di rendere immediatamente intelligibile un testo cantandolo, fosse anche l’elenco del telefono. Non è una questione di teatralità ma un modo umano, perfino banale, di interpretare una canzone. E’ completamente naturale, ma non si perde una sillaba, si capisce tutto”.